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Baraccopoli

 

Nascoste tra la fitta vegetazione, al riparo da cittadini impauriti e poco accondiscendenti, queste baraccopoli, apparivano come formicai, per il continuo via vai della gente, per l’affaccendarsi di ognuno nel procurare quel minimo per migliorare o, almeno, per non peggiorare la propria sopravvivenza e quella della famiglia al seguito.
Ogni singola “baracchina”, come erano definite dagli stessi occupanti, era costruita con materiali di fortuna e il cellophane rappresentava l’ultimo strato avvolgente che permetteva di evitare la pioggia, l’umidità del fiume adiacente; pezzi di legno, di cartone, lastre di plexiglass le tenevano a malapena in piedi ma suo malgrado proteggevano dalla notte italiana, da sguardi indiscreti e creavano, così, quella dimora, che dava un senso al loro rientro. La maggior parte di loro lavorava nei cantieri edili della città, quando le condizioni meteorologiche e la fortuna di essere scelti dal caporale lo permettessero, i più sfortunati trascorrevano la giornata seduti sull’uscio a ripulire “casa”, aspettando l’imbrunire che avrebbe riportato la moglie impegnata ai semafori e che per tutto il giorno aveva sfidato la bontà degli automobilisti. Il tramonto raccoglieva un po’ tutti e segnava il momento della cena, come pasto unico. Si accendevano le prime candele e si preparava il fuoco che avrebbe scaldato l’olio misto ad acqua per soffriggere le ali di pollo,subito dopo si preparava l’immancabile “mammaliga” (equivalente alla nostra polenta) e il tutto veniva bagnato dal solito vino bianco in cartoccio da discount.
Nella “baracchina” affianco, intanto, ci si organizzava con un veloce impasto per focacce, che sarebbero state cotte nell’unica pentola che il fuoco aveva, ormai, annerito e consumato. Attorno alla fiamma si avvicinava anche chi quel giorno non aveva di che sfamarsi, in cerca di ospitalità o solo per potersi scaldare prima di affrontare la notte. Quando il calore veniva sovrastato dal primo freddo della sera, poi, ci si ritirava nella propria dimora, le candele si cominciavano a spegnere e le tenebre portavano ricordi e tristezze che trapelavano dagli sguardi.
Queste baraccopoli non esistono più, sono state ruspate via per motivi di sicurezza ma mi capita ancora di pensare a loro: quando rientro a casa nelle notti d’inverno e trovo i termo così bollenti da esser costretto ad aprire le finestre, quando apro il frigo per decidere la cena, quando mi immergo in un bagno caldo, quando mi ritrovo al buio nel caldo delle coperte, mi ritornano in mente tutte quelle facce sorridenti, mi ritorna in mente la dignità di questa gente, la forza, il coraggio.
Gente temprata, forse, dalla difficoltà, dagli stenti e dalla disperazione, che soltanto una giustizia divina potrà prima… o poi vendicare.

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