Regina Pacis
L'ostile burocrazia a cui il nostro paese ci sottopone quando si tenta di entrare nelle comunità, non fa altro che aumentare la difficoltà di stabilire un rapporto umano con chi si va ad incontrare. Il tempo prestabilito, le poche ore concesse,costringono quasi ad incontri da zoo, se non fosse per il buon cuore e la fiducia che un gran Uomo come Don Cesare, direttore del centro Regina Pacis, mi ha concesso.
Il mio primo giorno nel centro, in un Marzo ancora freddo, trovai un gruppo di immigrati dello Sry Lanka, appena giunti da un centro di prima accoglienza, dove erano stati rifocillati. Venticinque giorni di navigazione su di un barcone da miseria, li aveva trasportati fino alle nostre coste. Un viaggio della disperazione che li ha costretti a trascorrere l'intero tragitto in piedi, incastrati tra di loro, senza nessuna possibilità di muoversi, di sdraiarsi, di coprirsi, costretti a dormire in piedi a turno, mantenuti dai compagni. Notti durissime, caratterizzate dal freddo pungente delle onde, che tempestosamente si scagliavano contro di loro e che soltanto il sole della mattina successiva avrebbe potuto asciugare. Ognuno di loro aveva investito ogni risparmio, la maggior parte aveva chiesto un prestito per poter pagare il viaggio, il viaggio della speranza che avrebbe cambiato la propria sorte e salvato le proprie famiglie ma l'illusione e il sorriso è durato soltanto pochi giorni, il tempo di essere rimpatriati... questa volta con la comodità dell'aereo.
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